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Cinquanta sfumature di SFIGA

Dieci cose che mi sono successe, ma non posso credere che mi siano successe, però mi sono successe:
1)      Al numero uno, senza dubbio, un episodio della mia vita che raramente ho raccontato a qualcuno. Una specie di apoteosi della sfiga. Credo che nessuno mai potrà battermi. Un po’ di tempo fa, non ricordo bene l’anno esatto, era in corso una cena in casa mia. La casa era piena di ospiti, ci si stava divertendo. Ad un certo punto sento l’esigenza impellente di recarmi alla toilette. Mi chiudo a chiave, accomodo le mie possenti chiappe sulla tazza di ceramica, inizio a… insomma… stavo facendo la cacca (e anche questo argomento l’abbiamo sdoganato!). Ad un certo punto sento tutto tremare. Sento gli ospiti che urlano ed escono di casa. Ebbene sì, era in corso un terremoto. Una bella scossa violenta. Morale della favola: con le mutande alle caviglie, cado dal water genuflessa tipo “mi è apparsa la Madonna” e mi sbuccio le ginocchia. Inutile dirvi com’è finita la serata: una volta passato lo spavento per il terremoto, ho dovuto raccontare agli ospiti la mia disavventura, suscitando l’ilarità generale.
2)      Sono stata chiamata per un lavoro full-time a tempo indeterminato durante la settimana di Ferragosto, avendo mandato un solo curriculum. Questa è l’apoteosi della fortuna, peccato solo non averlo poi ottenuto, dopo 4 strazianti colloqui in piena estate, col pantalone lungo, i tacchi, e la camicia che sudavo dagli occhi solo a guardarla. Peraltro pochi giorni fa mi è ri-successa la stessa cosa. Della serie “non è vero che i fulmini non cadono mai due volte nello stesso punto”.
3)      Una volta ho segato da scuola per seguire il ragazzo che mi piaceva. Facevo forse prima liceo, ero brutta come il culo di un babbuino, con le sopracciglia depilatissime, il trucco pesante e la panza che strabordava dai jeans. Ero molto innamorata di un tamarro di periferia che, manco a dirlo, non era nemmeno a conoscenza del mio essere al mondo.  Beh, quel giorno avevo deciso di scendere dall’autobus alla sua fermata e seguirlo per vedere dove andava. Ad un certo punto lo perdo di vista e inizio a correre, in mezzo alla gente, perché stavo attraversando un mercato, mi inciampo e cado rovinosamente sui cubetti di porfido del centro. Di faccia, chevvelodicoaffare. Tiro su la testa, e in mezzo alla folla che se la rideva, mi trovo davanti il mio amato tamarro. Mi aveva vista ed era venuto a tirarmi su. Con il sangue che colava dal naso l’ho salutato calorosamente. Inutile dirvi che non l’ho mai più visto, se non ogni tanto per strada sfrecciare con la sua macchina con i neon montati sopra tipo navicella aliena. Inutile dirvi anche che sono arrivata a casa col setto nasale deviato e ho dovuto spiegare tutto ai miei genitori.
4)      Ho scritto una poesia per un commesso di un supermercato di cui mi ero invaghita e che sapevo che stava per cambiare lavoro. Avrà avuto qualche anno in più di me, era biondino e carino. Avevo già almeno diciott’anni e nonostante fossi già una giovane intellettuale sinistroide,  gli ho scritto una poesia che faceva tipo “Caro commessino, come farò al mattino, senza di te che mi porgi lo sfilatino?”. Non sto a dirvi le altre rime che sennò andiamo sul piccante. Gliel’ho fatta consegnare da una collega e nella busta ci ho messo il numero di telefono. Deve aver pensato che avessi dei problemi psichiatrici gravi e ovviamente non sono mai stata chiamata. Comunque questa non è una cosa che mi è successa, me la sono cercata.
5)      Luglio. Trentasette gradi Celsius. Grado di umidità: millemila unità (?!?). Sono a casa in mutande e reggiseno a mangiare ghiaccioli davanti al ventilatore. Deve passare da casa mia zia a prendere un libro. Suona il campanello. Mi reco alla porta con il libro già in mano, rimanendo in biancheria intima che tanto insomma, mia zia m’ha vista nascere. Apro. Invece era il corriere che portava un pacco. Mi squadra con gli occhi un po’ sgranati e tutto ciò che riesco a dire è: “Cazzo! Scusi l’abbigliamento!” e lui “Si figuri, signorina, fa caldo!”. Bella figura di merda. E anche bella prima scena per la sceneggiatura di un porno banalissimo da inserire nella sezione BBW.
6)      Da piccola tutto ciò che desideravo era una salopette. Lo so, un capo d’abbigliamento inutile, ma tutti i bambini ne avevano una e io no. Così un giorno lagno mezz’ora e mia madre decide che è arrivato il momento: “andiamo a comprare questa cazzo di salopette!”. Arriviamo al mercato, la trovo, la provo, mi piace. Tanto da non volerla togliere nel tragitto fino a casa. Saltello felice nella mia salopette di jeans e ad un certo punto mi inciampo. Cado genuflessa (non so perché cado sempre in ginocchio, è una specie di regola per me, come i gatti che cadono sui loro…gommini…o come si chiamano) e la salopette si squarcia su entrambe le ginocchia. Mi è successa anche una cosa simile la prima volta che ho rotto i coglioni a mia mamma per poter uscire in minigonna e tacchi (una volta ero magra). Ero poco più che una bambina, ma avevo voglia di sembrare più grande. Una volta ottenuto il permesso, appena uscita di casa, sono caduta. “Toh guarda! Una mignotta ferita sul ciglio della strada”, devono aver pensato i passanti.
7)      Sono stata fermata dai carabinieri tornando a casa da una serata di sole donne, l’8 marzo. Ero casualmente sobria, in quanto un mal di testa epocale mi aveva colpita e avendo preso un tot d aspirine non avevo potuto brindare alle mestruazioni insieme alle mie amiche (forse per questo riesco a ricordare che avevamo brindato “Alle mestruazioni!” in tutte le lingue in cui sapevamo dire “mestruazioni”). Comunque, loro invece erano ubriachissime. Sul sedile dietro, una vomitava, l’altra dormiva e davanti insieme a me (che ero alla guida) ne avevo una a cui era presa la ciucca allegra e non smetteva di dire cazzate. Quando ci hanno fermato i carabinieri lei è scesa, ha fatto vedere le cosce al carabiniere e ci hanno lasciate andare.
8)      Quando ero piccola mia nonna mi obbligava ad andare a messa con lei. Io ero già una piccola bestia di Satana, ma molto rispettosa degli anziani, quindi la seguivo, portandomi però dietro le statuine dei Puffi o le Barbie per giocare sotto il banco (si chiamano banchi, no, le panchine della Chiesa?) perché di preghiere e prediche proprio non me ne poteva importare di meno. Una volta devo aver mimato uno strano episodio tra un Puffo e una Barbie e mi sono messa a ridere fortissimo, non riuscivo proprio più a smettere. Avevo le lacrime, non respiravo più e facevo il classico “risucchio” per cercare di prendere fiato. Il prete si è inviperito e mi ha cacciata dalla sua Chiesa. Era l’anno in cui avrei dovuto (e sottolineo dovuto) fare la Prima Comunione e mia nonna, strigliandomi sulla strada di casa, si era messa a piangere pensando che il Don non me l’avrebbe più fatta fare. Quanti dispiaceri ho arrecato alla mia catto-famiglia!
9)      Un altro bell’episodio, che riguarda la mia breve ma intensa vita cattolica, fu la confessione prima della Comunione (la nonna aveva convinto il Don a lasciarmela fare!). La prima confessione ufficiale. Ci spiegano il concetto di peccato, ci dicono che dobbiamo ripulirci l’anima, ecc…Io avevo otto anni. Che cazzo di peccati potevo aver commesso? Qualche toccatina? Qualche imprecazione? Boh, forse, non mi ricordo. Fatto sta che mi ricordo esattamente il peccato che confessai al prete: gli dissi di sentirmi molto in colpa per aver starnutito mentre bevevo il caffelatte ed essermelo fatto uscire dal naso sporcando tutto il tavolo. Ero una bambina molto fantasiosa.
10)   Riassumo in questo ultimo punto tutte le cose della mia vita che ho fatto e cerco quotidianamente di rimuovere dalla mia memoria: un corso di clownerie;  un corso di pittura su ceramica; due anni di canto lirico; spettacoli teatrali imbarazzanti in cui ero truccata come una battona di fronte a un teatro pieno; andare a giocare a ping pong con gli sfigati della scuola al pomeriggio;  un corso di latino (la lingua, non il ballo) il sabato pomeriggio alle medie per prepararmi psicologicamente alla dura vita del liceo (ho sempre avuto una mamma molto premurosa);  due dichiarazioni d’amore molto particolari, di cui una di notte in mezzo alla neve, con venti gradi sotto zero, finita ammmerda perché l’uomo in questione mi ha detto che mi voleva bene come a una sorella e l’altra finita con un mezzo stupro in una biblioteca, perché il mio compagno di studio di cui mi ero invaghita evidentemente non aspettava altro; ce ne sono sicuramente altre, ma dopo aver rimembrato tutte queste belle cose mi si è inceppato il cervello.

P.S. La prima frase è spudoratamente copiata http://www.ibs.it/code/9788887433364/morozzi-gianluca/dieci-cose-che.html. Gianluca Morozzi, se dovessi casualmente capitare su questo blog, sappi che ti amo. 

Quando c’è sentimento non c’è mai pentimento

Non sono capace a scrivere le poesie, preferisco i racconti, o le storie senza forma. Ma nei racconti e nelle storie ci sono fatti, personaggi, colori, odori. Nelle poesie c’è solo un sentimento. Un sentimento e basta. E allora vale la pena provarci.

MACIGNO
Un peso, una massa informe, dura, fredda
Impossibile da spostare tutta intera
Riducila a briciole con la forza del pensiero
(Che da qualche parte il potere magico ce l’hai)
Poi dai una briciola a ognuno
Il pezzo più grande io lo do a te
Pesa tanto, ma lo teniamo in due
Non facciamo fatica
Il macigno non c’è più.
P.S. Il titolo è perchè sono una cazzona, che anche se voglio dire una roba seria non riesco a non buttarla in caciara. E comunque i Neri per caso di sentimenti ne sapevano. 

Patti, sempre Patti, fortissimamente Patti

Ieri, la conferenza di Patti Smith, ospite a Collisioni 2012, è stata un’esperienza che non dimenticherò per molto tempo.

Quando l’ascoltai in concerto due anni fa a Torino pensai che non l’avrei mai più rivista. Le rughe e il catarro evidentemente non l’hanno fermata.

L’attesa è lunga, i bodyguard molesti, sono affaticata, trovare un posto a sedere è un’impresa ardua, sono arrabbiata perchè nonostante il pass nessuno mi fa entrare da nessuna parte.

Finalmente arriva Patti.

Paragona il suo amore per Bob Dylan al rapporto tra un bambino e la bambina di cui è innamorato. Un ragazzino quando è innamorato di una coetanea le tira i capelli e le fa i dispetti. Lei, quando il suo idolo Bob Dylan l’ha cercata nel backstage di un suo concerto chiedendo “C’è qualche poeta qui?” ha risposto “Chissenefrega della poesia!”. E poi lei col suo idolo ci ha cantato, sotto riflettori bollenti. E le gocce del loro sudore si sono addirittura mischiate. “Se vivrete abbastanza a lungo, capirete che nella vita tutto può succedere”.

Arriva un soffio di vento, si sentono gli uccellini cantare. Patti se ne accorge e la conferenza si interrompe un attimo. Si divaga. A Collisioni c’è tutto ciò che si può desiderare da un festival.

Quando Patti apre bocca ti accorgi che davanti hai una donna che ha visto e vissuto tutto. E’ la sacerdotessa del Rock. Sì, lo è davvero. E’ uscito da poco il suo ultimo album. Pensi “Cazzo, è del ’46 e sogna più di me!”. Pensi che per noi italiani la massima esponente del rock è Gianna Nannini, e vuoi morire. 

Poi si alza, recita People have the power. Non canta, parla. Ma la musica in qualche modo la senti lo stesso. Nel naso, l’ odore di vino che arriva dalla strada. Le persone bisbigliano le stesse parole che Patti sta intonando, come una specie di preghiera. Quella brezza che prima era leggera ora ti sembra un vento forte e freddo, che ti fa venire la pelle d’oca. Arriva una lacrima. E’ solo la prima.

Per le altre bisogna aspettare il concerto.

Grazie Patti.