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Volemosebbbbene

Vi ho fatto attendere un po’ questa volta. Dopo avervi vomitato addosso la mia vita (per la morte e i miracoli mi sto attrezzando), ho avuto un po’ la percezione di avervi detto tutto.

E’ un periodo molto tranquillo e sereno, incredibilmente senza tormenti particolari. Ho messo a posto un po’ di cose della vita che volevo mettere a posto, è arrivata almeno una delle cose che aspettavo da tempo e incredibile ma vero, ho capito che per vivere bene bisogna fare delle cose per sè, prendersi cura, amarsi un po’ (è come bere, più facile che respirare. Battisti docet). 
Anzi, forse amarsi un po’ è proprio la chiave di tutto. Siccome sono un po’ la reginetta dell’auto-mutuo-aiuto, mi piacerebbe condividere con voi alcune illuminazioni che mi sono giunte nell’ultimo periodo e che hanno contribuito dapprima alla mia presa di coscienza, ed in seguito al cambiamento. Perchè il cambiamento passa attraverso la presa di coscienza. E questa è la prima illuminazione. Dunque: 
  1. Il cambiamento passa attraverso la presa di coscienza: quindi, qualunque cosa desideriamo fare, dobbiamo prima renderci conto di come stanno le cose. Io, per esempio, una cosa che voglio tanto fare è dimagrire. Bene. Fin qui tutto chiaro. Però mi rendo conto che non sono in grado di resistere a un dolcetto dopo cena. Ecco,questo è il mio limite. Cosa faccio per superarlo? Lo condivido. Inutile fare finta di niente, dire “No, figurati e che me ne frega a me del dolcetto?”. No, lo dico. Dico alla dietista “Amica, tu sei alta e magra come una pertica,  hai il metabolismo a 2000 watt, probabilmente prendi anche dei lassativi altrimenti non si spiega quella pancia piatta, e poi sono certa che bruchi un po’ d’erba e sei già sazia, ma io no. Io ho FAME. E voglio un dolcetto.” E la dietista mi accorda un pacchetto di Pavesini quando ho voglia di dolcetto. Facilissimo, no? Ecco, io una cosa che ho capito è che “vergognarsi” dei propri limiti è una cagata pazzesca. Bisogna vederli e farli vedere anche agli altri. Che tanto anche loro ne hanno, oh, se ne hanno! 
  2. Non avere paura: la seconda regola è non essere spaventati dalla vita. Qualunque religione abbiate abbracciato nella vostra vita, o quand’anche foste atei come sassi, avrete certamente capito che l’uomo passa la propria esistenza a tormentarsi e può eventualmente aspirare al proprio miglioramento. Quindi, quando vi sentite delle caccole, frenati dai vostri dubbi, afflitti dalle vostre insicurezze, oppressi dal senso di colpa, vessati dal timore, sappiate solo che è NORMALE. Tutti abbiamo i limiti, tutti ci facciamo i segoni (mentali e non), tutti siamo umani. Io ho sempre avuto una paura folle di tutto: di dire qualcosa a qualcuno, di fare cose, di vedere gente. E sapete qual’è il problema? L’autostima. Eh sì, è la bassa autostima che ci frega. Perchè non ci sentiamo in diritto. E invece, siamo al mondo? E allora è nostro diritto vivere, dire, fare, baciare, lettera e testamento. Così bisogna solo trovare un briciolino di coraggio e aprirsi al mondo. E’ tutto qui. 
  3. Fidarsi dei propri sentimenti: lo so, sto diventando peggio di Osho, ma ve l’ho detto, mi sento illuminata. E in questo caso la folgorazione, senza nemmeno dover infilare le dita bagnate nella presa della corrente, mi è arrivata dalla mia amica Manuela, che un giorno mi ha detto: “Finchè tu parli di quello che provi, quello che senti col cuore e con la pancia, nessuno potra mai venirti a dire che sbagli, perchè dentro di te ci sei solo tu”. Avete presente che razza di cambio di prospettive può darvi questa cosa? Cioè, se parlo di quello che sento, dell’immateriale, delle sensazioni, nessuno può contraddirmi. E’ qualcosa di meraviglioso. E allora l’ho fatto. Ho fatto quello che finora non avevo mai fatto perchè pensavo di prendermi delle padellate in faccia. Ho detto i “sento di volerti bene” che dovevo dire, i “sento di amarti” che dovevo dire, i “sento che così non funziona” che volevo dire. Il tutto senza un minimo di senso di colpa o indecisione. Perchè nessuno può venirmi a dire che non è vero, e anche un po’ perchè io valgo. E non solo perchè uso lo shampoo L’Oreal, ma perchè davvero non ho nulla di meno di qualunque altro abitante di questo pianeta. Sul fatto che dentro di me ci sono solo io, beh, è vero. Ma siccome sono convinta che la positività attiri positività, spero ci entri presto anche qualcun altro. Famo a capisse. 
  4. Pazientare: ecco, quando Dio distribuiva la pazienza io stavo tirando calci e pugni agli altri che erano in coda perchè ci stavamo mettendo troppo. Sono una cazzo di Ariete, e il talento dell’attesa proprio non lo possiedo. Però ci sto lavorando sopra. Quando le persone mi dicono “Ogni cosa a suo tempo”, io solitamente fremo dalla voglia di creparli di mazzate. Poi però mi dico anche che forse è vero. Forse c’è un tempo giusto per tutto. Sono anche un po’ una naturalista, io. E mi dico: la natura ci spiega perchè bisogna aspettare…bisogna aspettare nove mesi perchè nasca un bimbo con tutte le cose che un bimbo deve avere, bisogna aspettare che la frutta sia matura perchè possa essere buona da mangiare. Insomma, se aspetti un po’ ti annoi, sei frustrato, cambi idea cento volte, ma quel che importa è che alla fine lo cose saranno perfette. Perfette magari no, ma come devono essere. 
  5. Metterci del nostro: se vi fermaste al punto 4 potreste pensare che la passività e il semplice scorrere del tempo ci faranno un giorno essere felici. Eh, nel Regno dei Cieli forse. Ma siccome io non ci credo nel regno dei cielo e sono sicura da morta sarò solo un mucchietto d’ossa (non so nemmeno più se ci siano le ossa, visto che da tempo il lardo ha preso il sopravvento) e un bel ricordo nel cuore di qualcuno, penso che invece dobbiamo proprio darci dentro nella vita. Quindi dobbiamo impegnarci, buttarci, fare cose, vedere gente, senza paura. E amarci un po’, e fare dunque le cose che di fanno stare bene.  Eh lo so, è un po’ banalotto come discorso. Però cazzo, se io mi diverto a fare le conserve, piuttosto che a stare svaccata in un prato tutto il pomeriggio a guardare le nuvole che passano, o che mi piaccia ballare o salutare tutti dal finestrino della macchina, ma chi sono gli altri per venirmi a dire che sbaglio, che perdo tempo, che spendo soldi inutili o che mi sto facendo una figura di merda? Eh, chi sono? SANO egoismo is the way. 
Vi ho illuminati un pochino? No. Allora fatevi un bel bagno caldo e buttate il phon acceso nella vasca. Ciao. 

Liberté, egalité, inutilité

Avete mai riflettuto sull’inutilità delle cose che a volte diciamo?

Per esempio, vedi la tua amica dai lunghi riccioli d’oro improvvisamente rasata come un punk e le chiedi “Ma hai tagliato i capelli?”. Oppure vedi il tuo amico per terra con le ginocchia sbucciate e il sangue che esce dal naso e gli dici “Ma sei caduto?”. Cose senza senso. Lo so, lo so, si chiamano domande retoriche. Ma le domande retoriche sono davvero necessarie? Ops, anche questa è una domanda retorica. Niente, mi sono cacciata in un cul de sac. 


Altre cose inutili che diciamo sono quelle che non vorremmo dire. Tipo “possiamo essere amici” di fronte alla persona con cui vorremmo sposarci e avere tre bambini, o “va bene così” di fronte a un lavoro di merda sottopagato o “basta sono sazia” di fronte ad una Sacher con cui vorremmo strangolarci.


Ci sono le parole sprecate. Un “ti voglio bene” alla persona che da lì a un secondo ci farà più male di una randellata sui denti, un “grazie” a qualcuno che sta facendo un gesto carino per poi rinfacciarlo ad vitam aeternam, un “salutami Tizio” (i saluti non arrivano mai, si sa).


Lo so che sono logorroica e una predica così da una come me non ve l’aspettavate, ma io la mia prima parola l’ho detta a tre anni compiuti e ho del tempo perduto da recuperare. Quindi ho il diritto inalienabile di dire quante cazzate mi pare. 


Ma la cosa più stupida dell’universo è invece non dire quello che è davvero necessario. 


“Fai cagare, stavi meglio prima” all’amica che si è rasata. “Cazzo, vado a prendere l’acqua ossigenata” all’amico che è caduto. “Ti amo” alla persona giusta. “Non prendo due lauree per farmi sfruttare” al nostro datore di lavoro. “Ancora, ancora, di più, di più” alla Sacher. “Buttati da un ponte” agli amici infedeli. “Fottiti” a chi non fa mai niente per niente. “Se ti capita di vedere Tizio digli che mi sta in culo tantissimo”.

Nonostante l’incontinenza verbale che mi caratterizza, tante sono le cose che non dico. Manca il coraggio. La paura che quella roba lì che hai da dire esca dalla tua bocca incartata da emozioni positive o negative che si sono così amplificate nel tempo e nello spazio (quello tuo, dentro, che certe volte è gigante) che alla fine assume un significato diversissimo da quello che vuoi esprimere. La paura di vedere nell’altro una faccia diversa da quella che ci siamo immaginati. Paura di sprecare, di offendere, di perdere qualcosa o qualcuno con un parola. Il problema è la stima di sè, il non sentirsi in diritto di chiedere, esplicitare, rendere chiare le cose.

E così che nascono quelle situazioni ambigue e offuscate da cui poi non riesco mai a togliermi.
Ho trovato il problema e adesso sono in cerca di una soluzione.