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Rapido ragguaglio

E’ passato così tanto tempo dall’ultima volta che ho scritto che mi ero perfino dimenticata la password. Ho finito col cambiarla, scegliendone una molto eloquente e oltremodo significativa in questo momento della mia vita. Questa non potrò dimenticarla.

Ok, ora che ho condiviso con voi il mio piccolo intoppo pre-scrittura, vi racconto come mai è passato tutto questo tempo.

Innanzitutto, sono andata in vacanza alcuni giorni, e si sa, la vacanza porta pigrizia. Mi sono dedicata ad alcune delle mie attività preferite: l’ozio, l’accidia, il dolce far nulla, l’ignavia, l’inerzia, il torpore. Ho reso l’idea? Ovviamente tutta questa poltronaggine, unita a quantità imbarazzanti di libri, dosi eccessive carboidrati, zuccheri e birre dopo un paio di mesi di dieta da fringuello, aveva portato a notevoli esperienze allucinatorie, il cui contenuto era destinato a finire nero su bianco, prima sulla Moleskine e poi sul blog.

Ma il ritorno al lavoro, assai traumatico, e alcune vicissitudini personali (quelle che io elegantemente chiamo “cazzinculo“) mi hanno assorbita, asciugata, privata dell’impeto creativo che avevo avuto in spiaggia leggendo Efraim Medina Reyes, bevendo Moretti come se non ci fosse un domani, e sparandomi seghe mentali a raffica insieme alle mie amichine del cuore.

La cosa che fa assai ridere è che scrivo minchiate random, quando sul famoso taccuino dalla carta color avorio ho una lista infinita di argomenti da sviscerare, intuizioni personali o suggestioni date dai lettori del blog.

Inoltre, non ci potrete credere, ma io, Internet addicted, recentemente ho scoperto la bellezza di allontanarsi dalle onde elettromagnetiche del pc e dello smartphone, infilarsi le sneakers e l‘Ipod e uscire di casa a camminare senza una meta. Mi piace avere la percezione del clima che muta (prima passavo giorni interi tra casa, lavoro e macchina e non mi rendevo nemmeno conto di che temperatura o tasso di umidità ci fosse), vedere che sta diventando autunno e tutti i giorni le cose hanno un colore diverso. Scusate lo slancio romantico, sono in pre-ciclo e mi emoziono facilmente.

E poi, un altro motivo (forse) per cui non ho più scritto è che ho poche, pochissime certezze. Il mio Karma è un gran burlone, negli ultimi tempi sono diventata bersaglio di scherni e derisioni da parte sua. Fa entrare e uscire dalla mai vita persone improbabili, mi fa accadere cose che mi destabilizzano, avere pensieri sconnessi e oltremodo perversi. Mi sembra di vivere nel Fantabosco o aver dato una smozzicata ai funghetti di Alice nel Paese delle Meraviglie.

E insomma, questo è quanto. Non ho intenzione di abbandonarvi, e anzi, durante i miei deliri vi penso e mi dico anche “dirò tutto a tutti un giorno, quando questa roba si trasformerà in un pensiero coerente”. Quindi, non abbandonatemi e siate fiduciosi.

Volemosebbbbene

Vi ho fatto attendere un po’ questa volta. Dopo avervi vomitato addosso la mia vita (per la morte e i miracoli mi sto attrezzando), ho avuto un po’ la percezione di avervi detto tutto.

E’ un periodo molto tranquillo e sereno, incredibilmente senza tormenti particolari. Ho messo a posto un po’ di cose della vita che volevo mettere a posto, è arrivata almeno una delle cose che aspettavo da tempo e incredibile ma vero, ho capito che per vivere bene bisogna fare delle cose per sè, prendersi cura, amarsi un po’ (è come bere, più facile che respirare. Battisti docet). 
Anzi, forse amarsi un po’ è proprio la chiave di tutto. Siccome sono un po’ la reginetta dell’auto-mutuo-aiuto, mi piacerebbe condividere con voi alcune illuminazioni che mi sono giunte nell’ultimo periodo e che hanno contribuito dapprima alla mia presa di coscienza, ed in seguito al cambiamento. Perchè il cambiamento passa attraverso la presa di coscienza. E questa è la prima illuminazione. Dunque: 
  1. Il cambiamento passa attraverso la presa di coscienza: quindi, qualunque cosa desideriamo fare, dobbiamo prima renderci conto di come stanno le cose. Io, per esempio, una cosa che voglio tanto fare è dimagrire. Bene. Fin qui tutto chiaro. Però mi rendo conto che non sono in grado di resistere a un dolcetto dopo cena. Ecco,questo è il mio limite. Cosa faccio per superarlo? Lo condivido. Inutile fare finta di niente, dire “No, figurati e che me ne frega a me del dolcetto?”. No, lo dico. Dico alla dietista “Amica, tu sei alta e magra come una pertica,  hai il metabolismo a 2000 watt, probabilmente prendi anche dei lassativi altrimenti non si spiega quella pancia piatta, e poi sono certa che bruchi un po’ d’erba e sei già sazia, ma io no. Io ho FAME. E voglio un dolcetto.” E la dietista mi accorda un pacchetto di Pavesini quando ho voglia di dolcetto. Facilissimo, no? Ecco, io una cosa che ho capito è che “vergognarsi” dei propri limiti è una cagata pazzesca. Bisogna vederli e farli vedere anche agli altri. Che tanto anche loro ne hanno, oh, se ne hanno! 
  2. Non avere paura: la seconda regola è non essere spaventati dalla vita. Qualunque religione abbiate abbracciato nella vostra vita, o quand’anche foste atei come sassi, avrete certamente capito che l’uomo passa la propria esistenza a tormentarsi e può eventualmente aspirare al proprio miglioramento. Quindi, quando vi sentite delle caccole, frenati dai vostri dubbi, afflitti dalle vostre insicurezze, oppressi dal senso di colpa, vessati dal timore, sappiate solo che è NORMALE. Tutti abbiamo i limiti, tutti ci facciamo i segoni (mentali e non), tutti siamo umani. Io ho sempre avuto una paura folle di tutto: di dire qualcosa a qualcuno, di fare cose, di vedere gente. E sapete qual’è il problema? L’autostima. Eh sì, è la bassa autostima che ci frega. Perchè non ci sentiamo in diritto. E invece, siamo al mondo? E allora è nostro diritto vivere, dire, fare, baciare, lettera e testamento. Così bisogna solo trovare un briciolino di coraggio e aprirsi al mondo. E’ tutto qui. 
  3. Fidarsi dei propri sentimenti: lo so, sto diventando peggio di Osho, ma ve l’ho detto, mi sento illuminata. E in questo caso la folgorazione, senza nemmeno dover infilare le dita bagnate nella presa della corrente, mi è arrivata dalla mia amica Manuela, che un giorno mi ha detto: “Finchè tu parli di quello che provi, quello che senti col cuore e con la pancia, nessuno potra mai venirti a dire che sbagli, perchè dentro di te ci sei solo tu”. Avete presente che razza di cambio di prospettive può darvi questa cosa? Cioè, se parlo di quello che sento, dell’immateriale, delle sensazioni, nessuno può contraddirmi. E’ qualcosa di meraviglioso. E allora l’ho fatto. Ho fatto quello che finora non avevo mai fatto perchè pensavo di prendermi delle padellate in faccia. Ho detto i “sento di volerti bene” che dovevo dire, i “sento di amarti” che dovevo dire, i “sento che così non funziona” che volevo dire. Il tutto senza un minimo di senso di colpa o indecisione. Perchè nessuno può venirmi a dire che non è vero, e anche un po’ perchè io valgo. E non solo perchè uso lo shampoo L’Oreal, ma perchè davvero non ho nulla di meno di qualunque altro abitante di questo pianeta. Sul fatto che dentro di me ci sono solo io, beh, è vero. Ma siccome sono convinta che la positività attiri positività, spero ci entri presto anche qualcun altro. Famo a capisse. 
  4. Pazientare: ecco, quando Dio distribuiva la pazienza io stavo tirando calci e pugni agli altri che erano in coda perchè ci stavamo mettendo troppo. Sono una cazzo di Ariete, e il talento dell’attesa proprio non lo possiedo. Però ci sto lavorando sopra. Quando le persone mi dicono “Ogni cosa a suo tempo”, io solitamente fremo dalla voglia di creparli di mazzate. Poi però mi dico anche che forse è vero. Forse c’è un tempo giusto per tutto. Sono anche un po’ una naturalista, io. E mi dico: la natura ci spiega perchè bisogna aspettare…bisogna aspettare nove mesi perchè nasca un bimbo con tutte le cose che un bimbo deve avere, bisogna aspettare che la frutta sia matura perchè possa essere buona da mangiare. Insomma, se aspetti un po’ ti annoi, sei frustrato, cambi idea cento volte, ma quel che importa è che alla fine lo cose saranno perfette. Perfette magari no, ma come devono essere. 
  5. Metterci del nostro: se vi fermaste al punto 4 potreste pensare che la passività e il semplice scorrere del tempo ci faranno un giorno essere felici. Eh, nel Regno dei Cieli forse. Ma siccome io non ci credo nel regno dei cielo e sono sicura da morta sarò solo un mucchietto d’ossa (non so nemmeno più se ci siano le ossa, visto che da tempo il lardo ha preso il sopravvento) e un bel ricordo nel cuore di qualcuno, penso che invece dobbiamo proprio darci dentro nella vita. Quindi dobbiamo impegnarci, buttarci, fare cose, vedere gente, senza paura. E amarci un po’, e fare dunque le cose che di fanno stare bene.  Eh lo so, è un po’ banalotto come discorso. Però cazzo, se io mi diverto a fare le conserve, piuttosto che a stare svaccata in un prato tutto il pomeriggio a guardare le nuvole che passano, o che mi piaccia ballare o salutare tutti dal finestrino della macchina, ma chi sono gli altri per venirmi a dire che sbaglio, che perdo tempo, che spendo soldi inutili o che mi sto facendo una figura di merda? Eh, chi sono? SANO egoismo is the way. 
Vi ho illuminati un pochino? No. Allora fatevi un bel bagno caldo e buttate il phon acceso nella vasca. Ciao. 

Autobiografia

Era l’ora del tè di un giorno di primavera. La gente aveva appena finito di scherzare per i Pesci d’Aprile ed era tornata seria perché stavo per nascere. Mi sono presentata al mondo di faccia; posizione insolita per un feto. Devo aver pensato che se proprio dovevo vivere, allora tanto valeva non nascondersi. Non sono stata “sfagiolata”, ma “asportata” dal corpo di mia madre come una brutta malattia. Questa cosa un po’ mi rode: forse è per questo che sono nata senza fiato e poi non ho quasi mai pianto.
Ho iniziato a disegnare molto prima di imparare di parlare. Papà era preoccupato per il mio mutismo; a mamma tutto sommato invece andava bene così, perché aveva comunque un’ottima arma di ricatto contro i capricci: mi minacciava di rubarmi i pastelli e io diventavo molto obbediente.
Sapevo camminare già da tempo, dal mio primo Natale, ma prendevo sempre la strada sbagliata: a volte scappavo con la gente che incontravo per strada e non mi facevo più trovare; spesso cadevo, in particolare quando non venivo guardata. 
La prima frase intera che ho pronunciato è stata: “Non voglio mai più che tu venga a casa mia!”. La dissi a mio zio che aveva “rubato” la palla a mia cugina. Una negazione, un avverbio di tempo dai tratti estremisti, un verbo ben coniugato, un’azione di protesta e difesa di qualcuno. Una sola frase, ma di me si poteva già capire tutto. 
La mia infanzia l’ho trascorsa a disegnare. Ricordo poco altro: i colori, la bicicletta, l’hula-hoop, i libri, gli insetti, la campana del vetro in piazza. Il primo disegno che ricordo è un cielo stellato. Un altro è un uovo dentro la pancia di mamma. Poi mi ricordo la Panda bianca, le gite della domenica, le canzoni di Bob Dylan, Tracy Chapman, DeAndrè e Battisti.
Ricordo il primo incubo, che mi ha perseguitata per anni: una vecchia cattiva con il braccialetto di mia mamma. E poi ricordo il secondo incubo: papà non risponde al telefono perché è morto.
Mi ricordo che la notizia che sarei diventata sorella maggiore mi fu data mentre mangiavo l’insalata di riso a bordo piscina in un pomeriggio d’estate. Aveva un gusto strano quell’insalata. E anche quella notizia.
Il primo trauma è stato il trasloco dal paese alla città. Avevo visto 40 bambini in tutta la mia vita e poi in un giorno solo ne ho visti 30 tutti insieme. E non ne conoscevo neanche uno. E poi le suore. Mamma e papà, per non avermi tra i piedi durante il trasloco, mi avevano mandata dalle suore. Non potevo stare con la mia famiglia, dovevo stare nella famiglia del Signore. Sì, ma non era la mia!
Delle medie ricordo la noia, il primo colore cambiato ai capelli, il primo bacio, le cose fatte di nascosto. Le prime angoscianti, terrificanti, inquietanti mestruazioni, arrivate mentre facevo i compiti di geografia. E ricordo quaderni interi riempiti di disegni. Disegnavo in particolare donne: quello in cui avrei voluto trasformarmi. Erano bellissime, procaci, avevano gambe lunghissime, seni sodi e capelli fluenti. A me non è andata proprio così.
Da lì in poi ho potuto fare affidamento solo più sul mio cervello e il mio cuore. Il fisico non ha più risposto. Mangiavo pochissimo e ingrassavo a dismisura. Sono iniziate le diete, le dita in gola, le abbuffate notturne,  le notti in ospedale, gli sguardi arrabbiati con mamma. Forse è qui che ho ricominciato a nascondermi, a non essere più sicura di quello che dicevo, a pensare che avrei voluto essere ancora come quella bambina che per prima cosa aveva fatto vedere a tutti la sua faccia e in seguito aveva sputato una sentenza.
E’ arrivato il momento del liceo e ho sbagliato strada. Del resto io ho imparato a disegnare come prima cosa, non a parlare. Perché allora studiare quattro lingue e non imparare invece i nomi di tutti quelli che avevano disegnato prima di me? Io sentivo quello che la voce dentro mi diceva. Erano quelli fuori di me che non riuscivano a sentirla.
Ogni anno un crollo emotivo. L’arte mi perseguitava, io ero in perenne dubbio se seguirla o ascoltare i genitori.
Poi sono arrivate le cose brutte e dell’arte non me ne è più importato nulla. In inverno è arrivata una notizia assurda, spaventosa, inaspettata e tremenda. Insieme a lei sono arrivati i segreti, le urla, la rabbia, la solitudine, la testa a penzoloni dal balcone. E poi, lentamente, era di nuovo un giorno di primavera. Il primo. Ma non si poteva gioire di quei fiori che stavano nascendo, né di quel sole che iniziava a scaldare i nostri cappotti neri mentre guardavamo una bara attraverso grandi occhiali scuri. 
A questo punto c’è di nuovo un tratto nero, in quel disegno lungo ventisei pagine che è la mia vita. E’ nero, come la stanza con le persiane chiuse in cui ho vissuto per un mese. E’ nero, come quella palla malata che stava nella mia pancia e di cui non riuscivo a dimenticarmi. E’ nero, come il sentimento che sto provando mentre schiaccio i tasti del pc. E’ nero, come le mie pupille ingigantite dal pianto ora e allora. E’ nero come il buco in cui infilavo le persone che non volevo intorno e in cui ero scivolata mio malgrado. E’ nero come il vuoto. E’ nero come la poltrona nello studio della dottoressa vista ogni settimana per tre anni. 
Non riesco a ricordare quando ho ricominciato ad usare i colori, quando sul foglio ormai interamente scarabocchiato di nero sono comparse delle macchioline rosse, verdi, gialle. So che erano rosse, verdi, gialle, ma non so quando sono arrivate. So che erano piccole e sono arrivate un po’ alla volta. Tratti neri e tratti colorati mischiati nel foglio successivo.
E’ stato allora che sono diventata grande. Da lì in poi nella mia testa ci sono cose adulte: c’è la macchina, c’è la musica impegnata, ci sono letture di un certo livello, c’è lo studio nove ore al giorno, ci sono tre case, ci sono io da sola, ci sono io in compagnia, ci sono mamma e papà che diventano altro da me, c’è la laurea, ci sono scelte da grande, ci sono tante visite mediche inconcludenti, c’è il lavoro, c’è l’amicizia che sei certa che sia vera e poi non è, ci sono tantissimi amori che appena finiscono dici “non sono mai stata innamorata”.
E adesso cosa c’è? Adesso c’è che ieri riflettevo sul fatto che la “voglia” di disegnare non esce più da un bel po’ di tempo. Si è forse trasformata in voglia di scrivere? O in voglia di lavorare? Potrebbe anche essersi trasformata in voglia di cucinare e fare delle cose belle per soddisfare gli occhi e la pancia delle persone. In fondo l’arte, così come la cucina, riempie gli occhi e la pancia. Emozioni e cibo sono la stessa cosa. E ho evidentemente un rapporto estremamente complesso con entrambi. C’è voglia di cose belle, c’è voglia di cose vere. C’è voglia di stare bene.

Un post al Volo

Un post veloce veloce, giusto per ricordarmi che oggi ho passato una gran bella giornata. Qualcuno me lo disse, giorni fa: “liberati da tutto e sarai pronta a vedere le meraviglie che il mondo ti offre”.

Ore 8.30 Arrivo al lavoro e nel mio posto auto trovo una mucca. Vera, con tanto di vitellino al seguito.

Ore 13 Ho già finito di lavorare. Gaudemus!

Ore 14 Penso alle mie amiche e mi dico “Sarebbe bello passare il pomeriggio in piscina con loro”. Mi chiamano: “Piscina oggi?”

Ore 18 Non c’è un cazzo per cena. Telefonata: “Cena?”

Ore 19 Un quasi tramonto bello da fare male, una sangria offerta dalla casa.

Ore 20 Una pizza enorme, una pilsner enorme, una crema catalana da orgasmo.

Ore 21 Confidenze.

Ore 22 Risate.

Ore 23 Joey Ramone, David Bowie e Blondie nello stesso CD tornando a casa.

Lo so, dico una roba alla Fabio Volo, ma cazzo, la vita è bellissima, le cose piccole sono bellissime, le cose strane sono bellissime. Il surrealismo di una mucca in un parcheggio, la telepatia, la rucola che scricchiola e lascia un gusto amaro, il rumore del cucchiaio sulla crosta della crema catalana, le persone a cui vuoi bene, la canzone giusta al momento giusto. Robe che la settimana scorsa ti facevano cagare perchè avevi le paturnie.

Una vita cruelty-free

Stavo riflettendo su quanto la vita può essere crudele, certe volte. Quisquilie senza le quali saremmo in grado di vivere un’esistenza più serena e non avremmo l’impellenza di mandare a fanculo nessuno. Tipo:
  • Quando hai un appuntamento che aspetti da mesi e ti esce un brufolo in pieno naso;
  • Quando hai un appuntamento che aspetti da mesi, brindi con un mojito, ti si incastra la menta tra i denti e lo stronzo non ti dice nulla. Scopri il fattaccio solo mentre ti strucchi prima di andare a letto (da sola);
  • Quando compri un vestito che ti piace un sacco e la settimana dopo prendi/perdi inspiegabilmente tre chili;
  • Quando misuri delle scarpe bellissime in un pomeriggio di agosto, dopo una camminata di due ore e i piedi gonfi come tacchini al Thanksgiving Day, e a settembre non ti vanno più bene;
  • Quando esci con le ballerine e arriva il diluvio universale;
  • Quando dormi la prima volta con un uomo e lui al mattino la prima cosa che fa è scorreggiare. E capisci che il principe azzurro non esiste;
  • Quando devi andare dal medico e tutte le mutandine sono in lavatrice e ti tocca metterti le culotte a pois che usi solo quando hai il ciclo;
  • Quando inizi la dieta e il giorno dopo le tue colleghe portano un dolce al lavoro;
  • Quando devi andare in piscina o al mare e hai i peli troppo corti per la ceretta e troppo lunghi per essere ignorati;
  • Quando devi andare a un concerto e ti viene il mal di testa un’ora prima;
  • Quando aspetti una telefonata importante e quel giorno i  call center dell’intero globo terracqueo hanno offerte esclusive solo per te;
  • Quando ti senti carica come una molla, poi leggi l’oroscopo ed è una merda. Non ci credi, ma subito ti deprimi un po’;
  • Quando la gente non capisce cosa stai provando e fa domande a cazzo di cane, invece di darti un abbraccio, per esempio.
Altro che vita spericolata…io voglio una vita cruelty-free.

Un martedì forse non qualsiasi

Cari lettori, 

  questa settimana è molto importante per me. Questa e la prossima, diciamo. Non posso spiegarvi i motivi esatti, anche perchè sono parecchio scaramantica. Avete mai avuto una settimana, o due, o un mese, in cui sentite che TUTTO può cambiare? Tutto, o comunque buona parte. Roba del tipo “se supero questa, da lì in poi è tutto in discesa” o “se non riesco in questo tutto va a sfacelo”? Questa seconda frase la penso spesso, ma in verità non mi appartiene per nulla. Ho sempre un piano B. E se non ce l’ho, riesco ad accampare un mucchio di scuse per cui “è così che doveva andare”…il destino, le persone, mosse sbagliate che ho fatto e così via. Ma di solito non mi abbatto. Cioè, magari mi deprimo un paio di giorni, ma poi mi riprendo e di solito non porto rancore (non più di quello che provo in generale per l’umanità intera). Comunque, quello di cui volevo parlarvi è la sensazione che si prova quando si sente di avere un’occasione, o un obiettivo, o una “missione”. Cioè, un fermento, un brivido, una caparbietà mai provata e…voglia di vivere. Anzi, non è voglia di vivere, è proprio VITA. Pensateci, voi sentite di vivere ogni giorno? Io no, o meglio, penso sempre di essere viva e che mi sto godendo in qualche modo le cose, ma poi arrivano giorni così e mi dico “per cosa cazzo stavo vivendo prima?”. E’ incredibile. Vabè, mò non pensiate che sia chissà che cosa. Però così, volevo dirvi che sono presa bene per un sacco di cose che nemmeno so bene cosa sono. E poi magari andrà tutto male e sarò di nuovo qui a scrivervi che la vita schifo. E poi una sensazione che mi piace un casino è desiderare. Ma desiderare forte, tipo che diventa quasi un bisogno. E un giorno mi sono immaginata che un bisogno fosse un bi-sogno. Cioè, se sogni una cosa due volte, diventa necessaria. Forse. Comunque, desiderare è bellissimo. Ottenere è sublime. Diceva un saggio in un qualche film “fai attenzione a ciò che desideri, potresti ottenerlo”. Ma io questa volta sono davvero sicura di volerlo. Talmente sicura che stamattina mentre ascoltavo questa ho pianto.